jeudi 2 octobre 2008

Giacomo Leopardi et la musique contemporaine

Le programme de Musica, festival de musique contemporaine à Strasbourg, avait cette année un intérêt particulier pour une italienne.
Le 30 septembre, l'ensemble Accroche Note a joué la Cantate n. 2 du compositeur Bruno Mantovani, inspirée de six poèmes d'un des poètes italiens les plus connus, Giacomo Leopardi.

Le programme de Musica récitait ainsi: "Bruno Mantovani (né en 1974), brillant et volubile animateur de la jeune garde française dédie sa deuxième cantate – la première fut créée à Musica en 2006 – à Françoise Kubleret Armand Angster. Composée sur six des Canti du poète de Bologne Giacomo Leopardi (1798-1837), la cantate se développe dans différentes combinaisons : de la voix et de la clarinette seules aux multiples variantes du duo (clarinette volubile, récitatif, homorythmie…). Mantovani repense ici « la ligne ornementale appliquée à la langue italienne, sur des textes portant une forme de musicalité très singulière »."

La première délusion fut le texte du programme, Giacomo Leopardi n'est pas le poète de Bologne, tout le monde en Italie le sait, il vient de la petite ville de Recanati, dans les Marches. Mais on peut encore excuser cela.
La deuxième, plus grande délusion fut la musique et le chant de cette Cantate. Le pouvoir évocateur de la poèsie de Leopardi disparaît complètement. Le choix de la clarinette, l'homorythmie de la cantate, ainsi que le chant presque syncopé qui malmène les textes poétiques, sont difficiles à rapprocher aux Canti de Leopardi.
Je ne suis pas une experte de musique, loin de cela, mais en tant que profane, j'ai la liberté de dire que ce concert ne m'a suscité aucune émotion. Dommage, alors que les textes choisis sont parmi les plus élevés de la litterature italienne.

2 commentaires:

Anonyme a dit…

Il tuo blog propone sempre argomenti moooltoo interessanti. Questo mi ha particolarmente colpito per due motivi.

1-E’ molto che rifletto sulla
poesia multimediale. Una poesia letta a voce alta (recitata) non è più la stessa cosa della poesia su carta (o schermo) letta “solo con gli occhi”. L’etimologia della parola recitare richiama quella di citare che, significa sì “spingere fuori la voce”, ma anche eccitare o mettere in movimento. Cosa? In questo caso specifico, il ritmo degli endecasillabi leopardiani? I suoi stupendi enjambements? E se variamo la velocità di lettura? Il timbro di voce del lettore? L’empatia con il testo di chi sta recitando? Non mettiamo forse in moto dei sentimenti che vanno oltre il testo e la semiotica della sua struttura grafica. Se aggiungo musica, aggiungo un messaggio non come semplice somma, ma gestalticamente parlando creo qualcosa di nuovo che non è più la poesia di Leopardi né quel solo brano musicale. E’ altro.

2-L’autonomia dell’opera d’arte e la sua intraducibilità (o il suo “negato permesso alla traduzione”). Ma questo investe, banalmente, anche l’interpretazione.

Per finire vorrei far capire il punto di vista di Mantovani, il suo approccio al “multimediale”.

Non ho trovato nulla su “Cantate n°2 (sur G. Leopardi)”, ma qualcosa di simile che ha fatto su Ungaretti. Non essendo io un esperta di musica riporto qui un brano tratto dal sito: http://italia.allaboutjazz.com/php/article_email.php?id=1387

"La morte meditata, scritta dal prolifico Mantovani nel 1999 per la voce di Silvia Vadimova Marini e l'ensemble TM+, si ispira ancora più esplicitamente alla dialettica luce/ombra, attingendo a sei poesie di Ungaretti, tratte dalla raccolta “Sentimento del Tempo”. […]
La guida di Mantovani sottolinea le pause e i silenzi, in modo che il gioco drammaturgico tra pieni e vuoti si evolva in tutta la sua ricchezza di contrasti dinamici e colorazioni timbriche, aderendo alla complessità delle sfumature emozionali sottese al testo: la tensione motoria dell’inizio si scioglie nel cupo alone dei tre clarinetti bassi, per accedere alla dimensione del “confuso silenzio” nel Canto Terzo.
Un’inquietudine febbrile attraversa tutto il brano; gli archi friniscono come cicale irose sul fondale notturno che gradualmente schiarisce; accordi reiterati del pianoforte lasciano aperto il finale, avvolgendolo in una fioca luminosità: “Con voi, fantasmi, non ho mai ritegno/E dei vostri rimorsi ho pieno il cuore/Quando fa giorno”.
La “stoffa” compositiva di Mantovani, capace di conciliare elementi apparentemente incongruenti tramite uno stile personale e maturo, è venuta in bella evidenza in questo concerto; [..]"

Non mi ricordo dove l’ho letto, ma lo riporto ugualmente: “Musica e poesia sono accomunate dalla specificità di forme distribuite nel tempo. Entrambe, insomma, hanno il tempo come carattere fondante. La capacità di ascolto confuso è la condizione necessaria del piacere; il corpo deve essere lasciato libero di vibrare armonicamente per simpatia, i sensi devono poter cogliere la fisicità espressiva dell'armonia senza interferenze mentali.”

Anna

Europea a dit…

Grazie Anna per i tuoi contributi sempre utilissimi.
La Cantata n. 2 di Mantovani non è ancora disponibile perché quella a cui ho assistito era la prima interpretazione pubblica.